All’inizio dell’era cristiana, la musica è strettamente legata alla liturgia, alternanza solista – coro (comunità dei fedeli) e quindi alla forma della Messa
In origine era tutto spontaneo…poi quando l’uomo trova meccanismi che funzionano, li decodifica e li scrive per tramandarli come valida soluzione.
Durante il 4° sec si consolida la consuetudine di fissare per iscritto formulari di preghiere, letture e il testo dei canti…si va superando così l’abitudine dell’improvvisazione nella liturgia..
Vengono creati segni e schemi convenzionali, risolti in modo rigoroso e “matematico” per permettere una pratica della musica che si avvicina progressivamente alla perfezione ed alla universalità.
La struttura della messa e dei canti della Chiesa diventa sempre più precisa rigorosa.
Dal canto romano antico si passa al GREGORIANO,( che ne è la revisione ).
Si ricerca un’ uniformità nei testi e nei riti. Il canto cristiano d’occidente non conosceva la notazione e per cantare occorreva un estenuante sforzo mnemonico. Per facilitare la memorizzazione il cantore era legato ad una tradizione alla cui base stanno le formule melodiche., potenziali nuclei di sostegno che si agganciano tra loro, si dilatano, o si comprimono in un’apparente infinita varietà, ma in effetti secondo leggi precise e previste che il cantore aveva appreso a maneggiare e ad applicare nella giusta concatenazione, secondo la loro natura di cellule introduttive, mediane, conclusive, distinte per ciascun modo. ( esistevano grandi scuole: di Roma e Metz, che detenevano il segreto della creazione perfetta, il segreto che permetteva di ricomporre ogni volta il brano che si voleva eseguire, nel rispetto della tradizione). Ciò assicura il carattere di universalità dei primi canti cristiani, riscontrabile in migliaia di brani eseguiti per secoli in tutta Europa. Ovviamente anche l’invenzione della notazione neumatica ebbe lo scopo di favorire una migliore trasmissione del repertorio.
NEUMI: segni convenzionali della notazione medievale.
Nota o note cantate sula stessa sillaba.
All’inizio indicavano e richiamavano la forma che assumeva la mano del maestro che dirigeva il canto. Poi preciseranno anche gli intervalli melodici…cioè esprimevano attraverso la loro collocazione sul rigo gli intervalli intercorrenti. Nel canto gregoriano esiste una classificazione dei neumi a seconda del numero di note che essi comprendono.
DIASTEMAZIA: neumi diastematici (una loro evoluzione)… appaiono quando si avverte che per indicare un intervallo importante (come quello di quinta) si occupava sulla pergamena uno spazio maggiore.
All’inizio del 1000 sopravvenne l’indicazione dei semitoni mediante linee colorate (rosso per il fa, giallo per il do) e delle lettere chiave (di do e di fa).
Poi apparirà il tetragramma (rigo a 4 linee) ottenuta mediante l’aggiunta di 2 linee nere alle colorate. E’ l’epoca in cui per la prima volta nel medioevo il cantore può leggere le musica ed impararla senza maestro.
Tipo di notazione neumatica è la notazione quadrata.
Nel gregoriano i neumi obbediscono in certa misura al ritmo ed intensità naturale delle sillabe.
TETRAGRAMMA: fu una spinta, perché certi gruppi di note della scrittura neumatica (che originariamente potevano indicare intervalli assai ridotti, come i quarti di tono del canto orientale) rientrassero nel preciso schema della scala diatonica, che prevede intervalli di un tono, tranne i due semitoni mi – fa; si – do, perciò all’inizio del 1100 il canto gregoriano fu completamente diatonizzato.
GUIDO D’AREZZO: di Guido è importante anticipare alcuni cenni sull’esacordo e sulla sua importanza nell’ambito della teoria musicale del medioevo e dei secoli successivi.
ESACORDOSerie di 6 suoni che si succedono ordinatamente per grado, sia in linea ascendente che discendente a distanza di tono, tono, semitono, tono, tono, tono
Es: DO, RE, MI, FA, SOL, LA
L’esacordo rappresenta la fase di trapasso che conduce dal tetracordo della musica greca al nostro sistema musicale fondato sull’eptacordo: serie di 7 suoni, cioè sull’ottava.
Suo è il sistema della solmisazione.
Il modello dell’esacordo permise di dare una base comune ai vari modi musicali in uso nel medioevo, determinati dalla presenza di tre semitoni nell’ambito dell’ottava, corrispondenti nella posizione degli attuali mi, fa; si, do; la – sibemolle. A seconda che al centro dell’esacordo fosse ravvisato l’uno o l’altro i quei semitoni, l’esacordo si diceva rispettivamente naturale duro, molle e costituiva termine d’orientamento per il musicista.
Dunque, Guido, fa un’innovazione nell’esacordo, al fine di distinguere i suoni in ordine alle loro relazioni interne fisse, a prescindere dalla loro altezza effettiva, li designò con le prime sillabe dei primi 6 emistichi (prima strofa) di un inno gregoriano a San Giovani Battista che iniziano su gradi contigui o in progressione ascendente coincidenti con l’esacordo.
In tal modo ut, re, mi, fa, sol, la, si designarono indifferentemente l’esacordo naturale, duro, molle ed i suoni relativi; le note derivate dal suo espediente sono un espediente che fissa in modo preciso la posizione del semitono mi – fa (il semitono per antonomasia)
Gli intervalli apparvero dunque nella seguente serie:
- esacordo naturale: T – T- ST – T- T (ut, re, mi, fa sol la)
Lasciando intatta la serie degli intervalli, se la nota di partenza era diversa dall’ut si aveva
- esacordo duro (in cui muta la posizione del semitono), T – T- ST – T- T ( sol, la, si, ut, re, mi)
- esacordo molle: T – T- ST – T- T (fa, sol, l a, sibemolle, ut, re)Prima di tracciare le note d’una melodia, era indispensabile conoscere il suo ambito, il che significava scoprire la posizione del semitono superiore. Questo spiega perché tutti gli intervalli di semitono venissero a chiamarsi mi – fa e perché l’intero sistema di queste “mutazioni” (passaggio da un esacordo ad un altro) abbia assunto il nome di solmisazione (infatti nella mutazione dell’esacordo naturale a quello molle si passa da sol a mi).
Questo sistema restò a fondamento della pratica e della didattica musicale per molti secoli dopo.
Nel medioevo Sant’Agostino eleva la musica fino a farne un principio di scienza divina, l’anima è purificata dalla numerositas che costituisce la natura profonda della musica e la trasforma in un rapporto di numero celesti.
Boezio (480 – 524 a: C.) “De institutione musica”
Dopo Isidoro di Siviglia ( 560 – 636) scende un gran silenzio sulle teorie musicali, si deve attendere il periodo carolingio per incontrare altri teorici. Viene intanto a maturare un radicale processo di codificazione e di riassetto nella struttura tonale delle melodie liturgiche: esse furono adattate ai canoni dell’ OKTOECHOS bizantino: 8 scale modali, 8 modi usati dalla musica ecclesiastica….8 modi gregoriani…l’origine dei modi è uno dei problemi più intricati e dai risvolti contraddittori. Per quanto la dottrina bizantina pretenda di ripetere strutture e denominazioni appartenenti alla grecità classica, la nozione di modo come forma di ottava è estranea alla dottrina greca. Si dovrebbe bandire dal vocabolario musicale l’abitudine ancora diffusa di denominare i modi della musica occidentale con la terminologia greca Definire dorica o di modo dorico una toccata di Bach perché scritta in re minore senza bemolle in chiave è un’eresia storica perché in contrasto con la vera natura dei modi.
Nel repertorio dei canti liturgici intanto, s’impose un duplice criterio ritenuto idoneo a determinare la modalità d’una composizione : la cadenza finale e la nota dominante.
Le musiche religiose diventano sempre più rigorose e strutturate…la distemazia e più tardi la scrittura sul rigo trascurarono le indicazioni ritmiche a vantaggio della precisione dell’altezza melodica.
Philippe de Vitry come teorico musicale gli si attribuisce il merito di aver trovato le 4 prolazioni, le note rosse, la novità delle proporzioni, tutti procedimenti tecnici caratteristici della’Ars Nova.
All’inizio del 1200, la scuola di Notre- Dame basa le sue tecniche compositive su due note: longa e brevis. (in precedenza la notazione si limitava invece ai neumi, segno grafici consistenti di punti e virgole sopra le sillabe del testo). Con lo sviluppo storico si introdussero note di durata sempre più breve, e contemporaneamente le note più lunghe si trasformarono da unità a multipli di unità. Ad esempio, con l’introduzione della semibreve verso il 1250, la lunga cessò di essere l’unità principale, e divenne il doppio delle breve. Con l’introduzione della minima verso il 1280, fu invece la breve a diventare il doppio della semibreve, mentre la lunga scomparve.
Il sistema fu codificato contemporaneamente, verso il 1320 in Francia nell’Ars Nova da Philippe de Vitry, ed in Italia da Marchetto da Padova nel “Pomerio di musica mensurata”.
Eso prevede 4 tipi di metro, a seconda delle possibili divisioni di breve (tempus) e semibreve (prolatio) in due o tre parti.
Metro 2/4/ breve: 2 semibrevi/ semibreve: 2 minime
Metro 6/8/ breve: 2 semibrevi/ semibreve: 3 minime
Metro 3/4/ breve: 3 semibrevi/ semibreve: 2 minime
Metro 9/8/ breve: 3 semibrevi/ semibreve: 3 minime
Un artificio grafico usato all’epoca per distinguere la divisione in 3 parti, considerata perfetta, da quella in due parti, considerata imperfetta, era di usare colori diversi. La convenzione fu dapprima che tre note rosse equivalevano a due nere, ossia una note rossa aumentava di metà del suo valore diventando nera.
A partire dal 1400 la convenzione divenne invece che 3 note nere equivalevano a 2 bianche.
Benché nella musica moderna si adotti solo la divisione binaria, la divisione ternaria si può effettuare mediante i punti di valore, che hanno lo stesso effetto del colore: 3 note normali equivalgono a 2 note puntate, ossia una nota aumentata di metà del suo valore grazie al punto.
Inoltre la tensione fra divisione binaria e ternaria permane nei metri latenti che emergono da quelli manifesti, ad esempio attraverso l’hemiola: un metro a due tempi con suddivisione ternaria, come:
6/4 = ¾ + ¾
Che produca un metro a 3 tempi con suddivisione binaria come,
3/2 = 2/4 + 2/4 + 2/4
Più in generale l’hemiola si può considerare l’analogo musicale della semplificazione numerica di una frazione, che si ottiene dividendo numeratore e denominatore per uno stesso numero. E si può anche considerare come un tipo di acrostico musicale che si ottiene isolando note in certe posizioni nelle battute, così come negli acrostici letterari si isolano lettere in certe posizioni dei versi.Il principio aritmetico della riduzione a denominatore comune di più frazioni regola invece la coesistenza di ritmi diversi. Un primo esempio è dato dai tempi irregolari, in cui i numeratori delle frazioni non sono divisibili per 2 o per3 come il ritmo cretese:
5/4 = 2/4 + ¼ + 2/4
Un secondo esempio sono i tempi bulgari, resi popolari da Bèla Bartòk, che corrispondono invece a suddivisioni irregolari del numeratore:
8/8 = 2/8 + 3/8 + 3/8
9/8 = 4/8 + 2/8 + 3/8
Un ultimo esempio è costituito dalla poliritmia, come nella famosa scena del ballo del Don Giovanni di Mozart (1787). Don Ottavio e Donna Anna aprono con un minuetto in ¾, in cui si inseriscono dapprima don Giovanni e Zerlina in una contraddanza in 2/4 e poi Leporello e Masetto in una danza tedesca in 3/8.
A ogni 2 battute del minuetto ne corrispondono tre della contraddanza, come nel precedente esempio di hemiola, e 6 della danza tedesca, che è suonata in 3 terzine. La complicazione matematica della sovrapposizione dei tempi delle tre danze si riflette poi ovviamente, sia sull’esecuzione, sia sull’ascolto.
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